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Del dolore. Leggero, pesante, fate voi.

Sono a letto dopo aver fatto finta per tutta la giornata che andasse bene lo stesso.

La bicicletta sul marciapiede pieno di buchi è come un’ottovolante (il correttore mi vuole far scrivere avvoltolante), ad ogni centimetro le vibrazioni del manubrio mi fanno stringere i denti dal dolore.

Ho pensato che fosse come  avere in mano un tosaerba impazzito sui ciottoli. Ho pensato che rendesse l’idea dell’assurdità della situazione.

Il polso sembra essere rotto, come se stesse insieme cucito solo da un piccolo tendine, sfilacciato stordito esausto. Rompiti per favore, rompiti e facciamola finita.

Sono a letto e non so dove mettere la mano. Uno dice appoggiala. Sì. *Tutto molto interessante, non posso. Se potessi non nascerebbe la questione. Il polso ha un’altezza diversa rispetto alla mano: se appoggio l’uno non è appoggiata l’altra e viceversa. Mi serve un cuscino solo per il braccio ma Lampo deve dormire sopra di me quindi devo adattarmi, che avere un cuore peloso che ti batte addosso è troppo bello e io sono troppo grata per spostarlo solo perchè ho male.

Mentre mi giro nel letto come una psicopatica nella penombra della mia stanza penso al dolore e a quanti tipi ne riesco a ricordare.

Non parlo del dolore delle sconfitte (che più avanti nel tempo si vedrà che sconfitte non erano e che hanno fatto di noi i guerrieri che siamo, sì ma nel frattempo sembravano sciabolate dietro le gambe) o della depressione, quelli sono altri dolori che meritano una discussione a parte.

Parlo del dolore fisico. Quello che mi ha fatto pensare di segare via pezzi di me per smettere di urlare.

Mi ricordo la prima volta, come la scordi la prima volta? In treno raggiungevo i miei al mare, faccio per alzare la valigia e la spalla non si muove. 1999. Appena finita la maturità.

Benvenuta. Accomodati, ce l’hai il biglietto? No? Ah, ma vedo che non è un problema.

L’autoimmunità non è timida.

Mi ricordo di una mattina in cui la caviglia faceva talmente male che mi sono addormentata piangendo, avevo lezione all’università ma non potevo mettere il piede per terra.

Mi ricordo di una notte in cui mia madre è arrivata a spostarmi sul fianco perchè il dolore alla gamba era così forte da paralizzarmi, non avevo ancora avuto Adolescente, andavo alle superiori e credevo ancora di star subendo un’ingiustizia incredibile. Il dolore era proporzionato alla rabbia. E la rabbia aumentava il dolore.

Mi ricordo dell’estate del 2012, una storia importante appena finita malissimo, i calcinacci del terremoto ancora negli angoli delle stanze e i polsi nascosti sotto le ascelle per proteggerli dall’aria, che anche quella faceva male. Agosto passato a letto a piangere e dormire, ad entrare ed uscire da un sogno che non smetteva mai di essere incubo.

Poi mi sono addormentata e non ho ricordato più niente, ma prima ho ringraziato per tutte le cose belle che ho avuto dalla giornata:

  • Adolescente che ha studiato per gli esami che pare scontato ma a casa nostra nulla è scontato
  • Lampo & Lucy che stanno bene e dormono vicino a me
  • la signora che mi aiuta in casa che senza di lei vivrei in una tana e morirei soffocata dai peli di gatto
  • i miei genitori che stanno bene, la voce di mia madre, le nostre telefonate quotidiane, gli sms suoi che si risolvono sempre con un: “ok” anche se ho fatto 7 domande e quindi poi le chiedo: “ok cosa?” e lei: “va bene” e io rido
  • un pò di altre cose e …  grazie angioletti state sempre qui con noi.

Con alcune amiche (Francesca e Ilaria) abbiamo visto che a volte c’è un filo che unisce i nostri articoli e abbiamo deciso di non lasciarlo cadere.

Oggi vorrei invitare in questo cerchio delle parole un’altra blogger che conosco da poco ma che già mi piace tantissimo, qui trovate l’articolo che mi ha ispirata a scrivere oggi:  *Tutto molto interessante . E interessante lo è davvero, mi ha fatta riflettere a lungo sul dolore e sul modo migliore di parlarne.

Ma c’è? Un modo giusto per farlo?

Ognuno lo affronta come riesce e se è vero che autoironia e leggerezza sono apprezzabili, è anche vero che il dolore è un mostro su cui spesso ironizzare non è semplice. Gran parte del mio libro è un’ode al dolore e alla fatica e al casino che l’artrite ha portato nella mia vita. Ci sono molte battute, c’è leggerezza, c’è una lieve pesantezza, c’è il mio modo di allora di vedere il dolore, che è diverso da oggi, c’è credo soprattutto il mio modo di affrontare la cosa. E questo non può essere giudicato. Può piacere o no, interessare o lasciare indifferenti, ma leggere del dolore e giudicarlo pesante mi pare francamente assai strano…

Parlare del dolore è terapeutico per chi lo fa, può aiutare chi è nella stessa situazione, può creare empatia tra le persone e di solito allontana i “tipi da selfie” che spesso non sono molto attratti dalla sofferenza perchè ce n’è già troppa ed è preferibile restare sulla superficie delle cose che non si sa mai grattando cosa potrebbe uscire. Casomai toccasse affrontare il proprio, di dolore. E ora ho giudicato e mi dispiace, non volevo ero quasi riuscita a non farlo, ma un pò della vecchia me resterà sempre credo 😉

La mia strada – come credo quella della maggior parte di chi vive col dolore cronico – si snoda piena di curve, ponti e guadi e discese mozzafiato e salite impossibili dentro alla consapevolezza del dolore, alla sua accettazione finale come parte di una vita che così doveva andare (perchè così è andata). Il che non significa: “oh che figo!” perchè di Madre Teresa una ce n’è stata, ma significa capire che è parte del viaggio e che la rabbia non può che aumentarlo e creare insoddisfazione, che alimenta l’odio verso se stessi, che fa nascere nuovo dolore. Ma come ho detto non ci si arriva in 24 ore, nè basta capirlo (che già per capirlo mi è voluta una mezza vita) … va masticato per anni, assimilato e come ha detto un’amica, espulso. E questo non può avvenire senza scriverne o parlarne. C’è chi lo fa da solo, chi ha un diario segreto, chi ama condividere e chi come me lo fa per aiutare altri nella stessa situazione perchè sentirsi capiti e sapere di non essere soli può fare la differenza.

Quindi capisco che non tutti abbiano voglia di leggere del dolore, o comunque non sempre, ma non c’è una legge che impone di seguire un blog, siete liberi 🙂 Se inciampate in uno che tratta del dolore e non siete interessati andate oltre. A che scopo fermarsi e scrivere che è pesante?

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16 pensieri riguardo “Del dolore. Leggero, pesante, fate voi.

  1. Invece io leggo tutto, fino alla fine.
    E’ pur vero che il dolore, per capirlo, va sperimentato in prima persona.
    Ma in questo mondo – di bloggers, post, amicizie, consigli – si può dimostrare la propria vicinanza anche con semplice commento.

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  2. A volte non si commenta perchè non tutti siamo bravi con le parole, parlo per me naturalmente. ma se metto un like vuol dire che ho lett, è un modo per farti sentire la mia vicinanza anche se non ci conosciamo affatto.
    Purtroppo in famiglia abbiamo una nipotina, penso con la stessa malattia ci convive da alcuni anni,i genitori la portano spesso a controllo fuori dalla Sicilia sperando sempre in un miglioramento, che mi sembra fino ad or non sia avvenuto.
    Scusami non volevo annoiarti con i problemi di famiglia.

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  3. serena
    dev essere straziante sentire un dolore così forte che impedisce anche le cose più semplici come un giro in bici. diamo sempre la salute per scontato invece caspita è davvero tutto nella vita… sei una forza della natura te lo dico sempre ma ci credo! sopporti tutto, ti ribelli alla vita, al dolore, alla sofferenza e lo fai con grinta per finire con sentirti fortunata per quello che hai (adolescente che studia per gli esami, la sig.ra in casa che ti aiuta…) sei davvero mitica!
    scrivi sempre, non farti problemi del tipo”la gente nn vuole sapere del dolore”. c’è, esiste, e rattrista tanto che colpisce persone belle e buone come te… ma leggere un po’ è conoscere, un po è condividere e cercare di farti/si coraggio….
    un abbraccione forte forte
    daniela

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  4. Io ho ispirato te, tu hai ispirato me. Il dolore cronico non lo conosco direttamente ma l’ho vissuto da “esterna”, sono stata sei anni con una persona che ne ha sofferto.
    Questo tuo post mi ha ispirata a parlarne, dal mio punto di vista, di chi lo ha vissuto indirettamente. Mi prendo qualche giorno per rifletterci e scriverci su.

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  5. Allora vediamo da dove comincio, dunque il mio adolescente è un filino fragilino, in genere non ne scrivo, in genere se qualcuno mi si rivolge con l aria saccente annoverandolo in gruppi ( esistono i gruppi o gli individui ?) e dicendomi- quelli come lui, o dandogli addirittura un etichetta spicciola come fosse un pomodoro: Pachino, ciliegino….si beccano i miei occhi fiammeggianti in faccia con una risposta inequivocabile che è tipo attenta che questo te lo mette in c……
    Ordunque dopo questa cruda premessa, ti dirò che i suoi scricchiolii gomiti ginocchi si sono attenuati da un mesetto non beve più latte di mucca, che non digeriva ma di capra puzza ma perché non provi.
    Vado via prima che ti dovessi incaz. Baci.

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  6. Io mi son commossa.. perché nonostante il dolore, nonostante le difficoltà.. sei una forza della natura, ecco!
    Sai cosa ti dico? Credo che ti terrò stretta (ma piano, prometto) per imparare un po’ di questa tua bellissima capacità..
    Hai trovato una posizione abbastanza comoda poi?

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