artrite reumatoide · autoimmunità · RIFLESSIONI

Sono sincera.

Sono sincera.

Non sempre ma adesso sì. Su quello che sto per dire posso mettere la firma.

Non è una critica ma una fotografia senza giudizi (da parte mia almeno) di una realtà che va affrontata. Dalla quale bisogna imparare a proteggersi.

Meditazione e buddismo ci facilitano nella misura in cui ci insegnano a staccarci dall’io. E’ difficile e va praticato ogni giorno, ma alla lunga aiuta. Noi non siamo le frasi che sono state dette su di noi. Non siamo la malattia, non siamo i problemi che abbiamo, non siamo le nostre paure. Si può usarlo come mantra quando – riusciti a ritagliare qualche minuto solo per noi-  ci sediamo e accendiamo qualche candela e un bastoncino di incenso.

Facciamolo, ma con la consapevolezza che non saremo mai completamente protetti da certe frasi, mai del tutto al sicuro in una comfort zone che abbiamo impiegato anni a costruire. Ogni tanto qualcosa farà breccia, ogni tanto saremo colpiti.

L’importante secondo me è vedere la ferita, riconoscerla. E’ mettere su un cerotto e andare avanti.

Oggi mi è stato detto – non senza timore, emozione, senso di colpa, non so cos’altro c’era in quegli occhi – da una persona cara, che in ambito lavorativo non è che si possa contare su di me. Ci sono e non ci sono, ci sono stata e poi sono stata a casa due mesi (un mese, per menisco frantumato dall’artrite e trombosi venosa profonda). Oggi mi vedono, domani chissà.

Ah! Come ho incassato! Il mio ego ha gongolato. Lei parlava e io pensavo:’E allora!!?! Ma chi sono? Guardami! Guarda come sorrido, guarda dentro quanto poco male sta facendo rispetto a un tempo…’

Ho incassato.

Così bene?

Non so.

E’ vero quello che ha detto. Da un punto di vista di organizzazione del lavoro non posso non darle ragione. Decidere che sarò io ad occuparmi di una certa cosa significa fidarsi dei capricci dell’artrite ed è impossibile. Significa mettere un ufficio o parte di esso nelle mani di una stronza che non guarda in faccia nessuno.

Quello che nessuno ha mai detto però – il mio ego oggi nitrisce e scalpita – è: ‘quante volte sei venuta qui strisciando? Quante volte sei caduta letteralmente dal letto piangendo disperata dal dolore e sei arrivata? Quante volte in questi dieci anni hai lavorato con le mani tumefatte, le ginocchia che non si piegavano, le braccia bloccate dai danni ormai calcificati? Eri qui un giorno prima dell’intervento!’.

Le innumerevoli volte in cui distrutta dalla stanchezza – cugina dell’infiammazione -, dall’infusione di Metotrexate e di biologico, dal mal di testa, dalla nausea, dal male che mi faceva sentire morta e vivissima allo stesso tempo, sono riuscita ad arrivare alla mia scrivania, quelle volte sono passate sotto silenzio. Normale amministrazione. Sei arrivata? Quindi non stavi così male.

Non importa quanti sforzi io abbia fatto per dimostrare che non mollavo, che il lavoro era importante, che onoravo la fiducia che avevano riposto in me.

L’assenza pesa più di ogni altra cosa. Non c’è niente da fare.

E’ di quella che ci si ricorda.

sedia

13 pensieri riguardo “Sono sincera.

  1. Non c’è proprio niente da fare, “nessuno è indispensabile” ti senti dire quando chiedi qualcosa, immancabile anche il “potresti fare di più” quando provi a tirare le somme di quello che invece hai fatto.
    Il mondo del lavoro è guadagno e risultato, chi se ne importa di quali sacrifici hai fatto fin’ora se non puoi dare garanzie sul futuro?
    Ma chi le ha delle garanzie sul futuro?
    Ma poi, il futuro, chi lo conosce davvero?
    Io so soltanto una cosa, i tuoi pacchettini con scritto “buon viaggio” sarebbero una mancanza impagabile per l’umanità.

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  2. Ah, se le persone imparassero a tenere chiusa quella boccaccia. No?
    Io faccio meditazione da anni, ho acquisito una PAZIENZA meravigliosa (appunto: sorridi, Denise, sorridi e non insultare nessuno). Ma ogni tanto mi incazzo come se non ci fosse un domani, e allora divento una furia.
    Sai cosa? Ci sta. Rimanerci male, arrabbiarsi, persino piangere o urlare. è uno sfogo che, di fronte all’indelicatezza di certe persone, è necessario.

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  3. È proprio così. Purtroppo tutto ciò che fai è semplicemente dovuto, e ciò che non fai è mancanza.
    Sperimentato su più posti di lavoro, per motivi completamente diversi, in prima persona.
    La cosa forse più fastidiosa è che la considerazione provenga da una collega…

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  4. ps: il mondo del lavoro è spietato,anzi meglio, i colleghi sono spietati e soprattutto quelli che vogliono far carriera, usano ogni mezzo e ogni bastardaggine per imporre la propria “bassezza”, e non guardano in faccia a niente e a nessuno, nemmeno a situazioni personali e di salute. Io ho passato una vita lavorativa cosi e ne ho viste di storie. Ora ne sono fuori per fortuna ma una cosa ho visto e imparato. Quando lanci un boomerang, sempre ti ritorna indietro e molti dei bastardi colleghi, hanno avuto lo stesso destino…. Quello che conta è che tu possa stare bene! ciao Ago 🙂

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